C’è un momento, in estate, in cui il ritmo rallenta. Le agende si svuotano a metà, le telefonate diventano meno frenetiche, e perfino i pazienti sembrano allinearsi al calendario delle ferie. È in questa sospensione che molti dentisti proprietari di studio si concedono un attimo di respiro. Ma è anche qui che, spesso, riaffiora una sensazione sottile e difficile da nominare: quella di galleggiare.
Il sistema odontoiatrico italiano, oggi, vive una fase di equilibrio precario. Non è un crollo, non è un disastro – nulla che giustifichi allarmismi e titoli da prima pagina. Ma non è neppure un terreno fertile dove crescere in modo sereno. Si va avanti, giorno dopo giorno, inseguendo i numeri: il fatturato da chiudere a fine mese, le spese da coprire, i preventivi da trasformare in accettazioni. È una lotta continua per far “girare la baracca”, come si dice con una certa amarezza mista a rassegnazione.
Eppure, se ci si ferma a osservare il contesto più ampio, viene quasi da dirsi: poteva andare peggio. Rispetto ad altri settori professionali, gli studi dentistici, nella media, continuano a generare margini discreti. Certo, i costi aumentano, i pazienti valutano di più e rinviano le cure, ma il dentista resta comunque un punto di riferimento imprescindibile nella vita delle persone. Nessuno può “delocalizzare” un’otturazione, né rimandare troppo a lungo una protesi che serve per masticare.
Questo piccolo paradosso – faticare tanto per rimanere a galla, pur sapendo che non si sta navigando nel mare più burrascoso dell’economia italiana – è il cuore della contraddizione che oggi abita molti studi. Si tira avanti, si produce, ci si accontenta. Ma si rinuncia, troppo spesso, a cambiare davvero rotta.
Il nodo non è clinico, ma organizzativo
La grande illusione del dentista imprenditore è sempre la stessa: credere che la differenza si faccia comprando un nuovo macchinario, investendo nell’ennesimo corso di aggiornamento clinico, o cercando di aggiungere un servizio in più al listino dello studio.
Ma chi osserva con attenzione la realtà del settore sa che il vero punto debole non è lì. È altrove. È nella gestione extraclinica: nelle agende disordinate, nei preventivi spiegati in modo poco convincente, nelle segretarie lasciate sole a fronteggiare le obiezioni dei pazienti, nel follow-up dei richiami che si perde tra mille impegni.
È paradossale, ma molti studi hanno apparecchiature da centinaia di migliaia di euro e, allo stesso tempo, un personale extraclinico che non ha mai ricevuto un’ora di formazione strutturata su comunicazione, organizzazione, accoglienza. È come montare un motore da Formula 1 su un telaio arrugginito: può anche partire, ma non arriverà lontano.
Galleggiare non basta
Il vero rischio di questa estate di “galleggiamento” non è economico, ma psicologico. Accontentarsi diventa un’abitudine sottile. Lavorare tanto, guadagnare “abbastanza”, mantenere uno standard che non crolla mai del tutto: è la condizione perfetta per non mettere mai mano alla trasformazione.
Molti dentisti, nelle pause estive, confessano quasi con sollievo che “in fondo non va così male”. E hanno ragione: ci sono margini, i pazienti non scompaiono, la professione mantiene dignità e redditività. Ma è una visione a breve termine. Perché a lungo andare, senza un vero salto organizzativo, quello che oggi è un “abbastanza” rischia di trasformarsi in un “non basta più”.
La chiave: il personale extraclinico
Immaginate, invece, se la stessa energia con cui si rincorrono i numeri fosse investita nella formazione delle persone che ogni giorno stanno al telefono, accolgono i pazienti, gestiscono l’agenda, presentano i piani di cura.
Un team extraclinico preparato non è solo un costo in più: è un moltiplicatore. Significa avere pazienti che comprendono davvero il valore del trattamento, che non scappano al primo preventivo, che trovano nello studio un luogo accogliente, che tornano e che raccomandano. Significa liberare il dentista dal peso di dover sempre essere “l’unico venditore” del proprio lavoro, permettendogli di fare ciò che sa fare meglio: curare.
E soprattutto significa dare stabilità ai numeri. Non più corse affannose per tappare i buchi di fatturato, ma un flusso organizzato e prevedibile, dove ogni ruolo sa come contribuire agli obiettivi.
Una riflessione da portare a settembre
Settembre arriverà in fretta, con la sua consueta ondata di preventivi accumulati, pazienti rientrati dalle ferie, nuove spese da affrontare. E, come ogni anno, il rischio è di riprendere il solito tran-tran, dimenticando le riflessioni estive.
Ma se c’è un investimento che può cambiare davvero la traiettoria di uno studio, non è un nuovo scanner intraorale, né un nuovo sito web, né un nuovo contratto pubblicitario. È il tempo e la formazione dedicata a chi, nello studio, lavora fuori dal riunito.
È lì che si gioca la partita. È lì che si trasforma un “galleggiare” in un “navigare sicuri”.
Forse questa estate vale la pena chiedersi: voglio solo sopravvivere, o voglio crescere davvero?
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È ancora possibile farlo bene. Ma non per sempre.